Titane

Nei cinema il film vincitore della Palma d'oro al Festival di Cannes 2021.

di EMILIANO BAGLIO 05/10/2021 ARTE E SPETTACOLO
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Julia Ducournau ha 37 anni. Non è quindi una “bambina prodigio” e non lo era neanche quando nel 2013 esordì con Raw – Una cruda verità. Ma non è neanche un’autrice affermata visto che Titane è appena il suo secondo lungometraggio.

Né carne, né pesce, che potrebbe essere una definizione perfetta anche per questa sua opera seconda, vincitrice della Palma d’oro al Festival di Cannes 2021 e salutata da un coro di lodi pressoché unanime.

Al centro Alexia (Agathe Rousselle) che da bambina è rimasta vittima di un incidente stradale che le ha lasciato una bella placca di titanio nella testa e che, diventata adulta, esibisce il suo corpo alle fiere delle automobili.

La prima parte del film ce la presenta mentre passa di omicidio in omicidio e ci si diverte pure un po’.

Poi il film prende un'altra piega, Alexia si da alla fuga e si rifugia a casa di Vincent (Vincent Lidon), spacciandosi per il figlio scomparso anni ed anni prima e finisce pure quel minimo di divertimento che almeno ci aveva strappato qualche risata.

Titane è l’equivalente di un triste piatto precotto comprato in uno squallido discount e scaldato al microonde.

Il finto scandalo un tanto al chilo (o all’etto fate voi) che però non graffia mai ;che mica vogliamo disturbare la signora in pelliccia in terzultima fila venuta per provare il brivido della trasgressione a basso costo senza che questo metta in dubbio le sue solide certezze.

Non sia mai, non si fa, non sta bene.

Cinema anestetizzato buono per tutti, per il pubblico dei multisala che probabilmente non coglierà i furti a destra e a manca, la fiera del visto e rivisto sino alla nausea, e penserà di trovarsi dinnanzi a qualcosa di originale; ma buono anche per i cinefili che scomoderanno nomi importanti che probabilmente si vergognano pure un po’ di essere assimilati a questa roba qui.

Si potrebbe fare l’elenco di dove è andata a pescare la Ducournau.

Ovviamente Crash di David Cronenberg che era del 1996 ed era la trasposizione di un romanzo di James Ballard del 1973. Il libro, insomma, era di quasi cinquanta anni fa. Il film apparteneva già ad un Cronenberg che si era ripulito rispetto agli eccessi degli inizi, eppure la distanza con Titane è, ovviamente, siderale.

Qualcuno, intrepido, ha scomodato persino Tetsuo (1989) di Shin’ya Tsukamoto, tanto lo hanno visto solo i cinefili incalliti che frequentano Fuori orario e si può citare impunemente.

Poi ovviamente c’è il cinema orientale a pacchi, compresa la canzone italiana (Nessuno mi può giudicare) come in Parasite di Bong Joon-ho ed ancora prima in Bad guy di Kim Ki-Duk.

Tutto al posto giusto, senza un minimo di originalità in un cinema nato già morto, mortifero esso stesso ed anestetizzante.

Julia Ducournau si ferma sempre un attimo prima che le sue immagini possano veramente scuotere dal torpore, prima che possano scioccare, creare fastidio, mettere dei dubbi, insinuarsi negli occhi o sotto la pelle dello spettatore.

Quel poco di violenza che potrebbe esserci nella prima parte viene rigorosamente lasciata fuori campo, persino l’accoppiamento cardine del film è lasciato all’immaginazione dello spettatore, altro che Cronenberg.

Ancora peggio la seconda parte quando, nella caserma dei pompieri di cui è capitano Vincent, comincia a scorrere testosterone a fiumi in scene sempre in bilico tra sano cameratismo maschile ed il sospetto di sentimenti indicibili che sottintendono una carica erotico/sessuale.

Finché Alexia, che tutti credono maschio, non comincia sculettare sensualmente ed allora gli sguardi, compreso quello della regista, dissolvono l’ambiguità in un sano disgusto non sia mai ci prendano per omosessuali che finché si ride e si scherza va bene ma a tutto c’è un limite, signora mia.

Non resta che rassicurare il pubblico con un bel quadretto di famiglia piccolo borghese ed un pupo presunto mutante che manco si vede

Che pena.

EMILIANO BAGLIO


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